Critica
…La sua luce è calma, serena, essenzialmente mediterranea. Ogni lavoro è sempre una scoperta, una ricerca; a Romanò piace respirare a pieni polmoni il colore delle cose.
Salvatore Salvemini – 1971
…La filosofia che domina l’antologia di immagini tipiche del repertorio figurale di Romanò ha una radice semplice, ma non convenzionale: un desiderio di “primordiale” che pare faccia a pugni coi tanti documenti profetici insorti dagli intellettualismi di maniera. Tale peraltro è la sua natura d’uomo.
Gaetano Mongelli –1974
…La sua pittura nasce da un interesse sentimentale verso il paesaggio, la natura morta e le cose, che si converte in una rappresentazione neofigurativa per una istintiva necessità di chiarezza e di comunicazione. C’è, nelle opere dell’artista calabrese, una felicità di espressione, una concretezza di colori e di segni che sono filtrati attraverso uno stile personale; c’è un linguaggio pieno di risonanze interiori che raggiunge una permanenza di risultati validi e indiscutibili.
Vanni Riva – 1976
…L’artista è per l’esaltazione più genuina della natura: dalla rocca di Scilla, simbolo rupestre contro i mostri scatenati dello Stretto, alle case dei pescatori incastonate meravigliosamente nel paesaggio con le loro tegole rosse ed i muri di ocra che parlano un vecchio e saggio linguaggio fatto di attese, di dolori, di pianti, di violenza. E’ una frase scritta nel tempo e nello spazio per una Calabria che non vuole essere “profanata”.
Luigi Malafarina – 1977
…Emana da ogni tela di Romanò un messaggio di fede talchè la sua pittura nella apparente semplicità, nel suo fascino non immediato ma profondo, nella sua indipendenza e infine nella sua icasticità, coinvolge l’osservatore rendendolo convinto e partecipe.
Salvatore Arcidiacono – 1978
…Non è, quella di Romanò, una descrizione oleografica ma, in un crescendo di forze cromatiche, una ricerca che è anzitutto emozione.
Nuccia Micalizzi – 1980
…Le sue opere scaturiscono da un impatto sentimentale ed affettivo con la realtà, da quel particolare e misterioso rapporto che egli instaura con le cose ed i luoghi che lo circondano, come può essere il paesaggio calabrese, pugliese o siciliano, tinto sempre di soffusa tristezza e materializzato con efficaci soluzioni cromatiche e giusta impostazione strutturale.
Sesto Benedetto – 1983
…La malinconia trepida, aggrondata, l’elegia di fuochi fatui, placati riverberano il profilo di una realtà profonda, magmatica, balenante a tratti al di là della soglia velata di una misteriosa apprensiva e alimentano e sostengono la vocazione pittorica di Romanò.
Sirio Guerrieri – 1984
…Le immagini di Romanò posseggono i connotati dell’ordine e della chiarezza espositiva e si armonizzano con linguaggi consolidati dell’arte europea.
Valerio P. Cremolini – 1985
…Nelle opere di Romanò si avverte con immediatezza l’amore e soprattutto il grande rispetto per la pittura; rispetto che lo porta a rifuggire dalle soluzioni più facili e scontate, pur senza mai cadere nelle seduzioni del pretenzioso.
Silvio Mignano – 1992
…In Romanò si ritrova quell’idea di unità stilistica che compete per definizione alla figura dell’artista.
Roberto Luciani – 1995
…Romanò ha una sorta di serena semplicità di eloquio che discende da una vera cognizione del processo artistico, il frutto migliore di una sicura maturità. Questo è ciò che insegnava Cesare Brandi.
Claudio Strinati – 1995
…C’è nella linea dell’universo figurativo di questo artista una radice profonda di impegno nei confronti del presente, consapevolezza di un mondo labile che non ha bisogno dell’eloquenza dei grandi discorsi taglienti come lame di rasoio e che spesso lasciano il vuoto a generazioni prive di speranza. L’arte di Romanò si incanala infatti nell’ottima corrente della descrizione della serenità racchiusa nei luoghi della natura, della natura umana originaria per stirpe ed elezione, i luoghi della memoria felice dove la mente corre alla ricerca di un riposo.
Cesare Terracina – 1999
…Se è vero, come è vero, che la rappresentazione del quadro è, prima di tutto, il riflesso dell’interiorità dell’artista, la pittura di Romanò è “una pittura della memoria” in cui l’immagine reale si sovrappone all’esperienza ed ai ricordi dell’artista in una sorta di percorso onirico temporalmente sincronico.
Bruno Regni – 2001
…Anche se i quadri di Romanò possono ricordare, nei soggetti e in alcuni temi comuni, la pittura dell’impressionismo, l’approccio è completamente diverso: al lavoro dal vero, en-plein-air, l’artista affida solo la fase preparatoria, disegni rapidi con il pastello ad olio, utilissimi per stabilire la composizione e anche il gioco delle luci e delle ombre. Poi il lavoro va avanti a studio, le emozioni iniziali lasciano spazio a una nuova dimensione, in cui oggetti, barche, architetture, alberi, acquistano uno spessore narrativo, diventano protagonisti di una silenziosa vicenda della quale a poco a poco riusciamo a vedere la trama.
Valerio Rivosecchi – 2003
Quella di Romanò è una pittura scabra, realizzata con l’uso della spatola sulla tela di iuta. Discendente dell’Impressionismo, della pittura macchiaiola, della Scuola di Posillipo e delle opere dei vedutisti ottocenteschi italiani e stranieri, essa si nutre di riflessi cangianti e di contorni sfumati, di soggetti contemporanei ma eterni …
Cinzia Folcarelli – 2006
…Che si tratti dei tetti della nativa Scilla o dei ponti e delle Chiese di Roma dove l’artista vive, delle coste di Gaeta o del Conero sull’Adriatico, ci troviamo sempre di fronte alla magia di un’architettura che nasce spontanea, fatta dall’uomo in funzione dell’uomo, capace di integrarsi e farsi tutt’uno con il contesto naturale, come una forma antica di esistenza elementare.
Quello di Pino Romanò è “un occhio non ancora offeso, pieno di stupore per la realtà naturale che lo circonda” (Salvatore Salvemini) e che mostra vedute di paese e di città inserite in contesti naturali di straordinaria bellezza, interiorizzati in un’anima capace di mostrarci ciò che non riusciamo più a vedere ed a godere, presi come siamo dalla quotidianità.
Ecco un’arte che prima di tutto è poesia dello spirito, solare ed inquieta ad un tempo come il mare di Calabria, e nella quale è dolce immergersi con passione.
Luca Benassi – 2008
…Saremmo tentati di dire che una sorta di sottile empito “espressionista” sembra suggerirsi come retrogusto di questa pittura corrusca e vibratile che convince per la serietà che la ispira e la presiede.
Rosario Pinto – 2011
…Il colore per Pino Romanò è il tutto che libera le sensazioni nascoste nella tela e che mette in secondo piano gli elementi che l’estetica indica come primari e cioè la linea, la forma, il volume, la stessa composizione, subordinandoli appunto al colore che, congiungendosi alla luce, si espande nello spazio. Libera è infatti la sua pittura : libera non soltanto da condizionamenti culturali, ma anche da timorati ossequi al reale. Pittura che procede per intuizioni improvvise, che diventa preziosa, ricca di luce e che riconduce nelle strade dell’immaginazione pura, verso una magia allusiva, sensuale.
Gilberto Madioni – 2011
… Se si segue il tratto di colore, da vicino ci pervade un senso di smarrimento. Le geometrie non esistono, i contorni del creato si disperdono gemendo in un turbinio di colori possenti; poi da lontano tutto si definisce, lo smarrimento lascia il posto all’infinitezza, al preludio di paesaggi lontani, impressi nella memoria solenne del tempo. E’ una pittura sognata e trasognata quella di Pino Romanò.
Jenny Canzonieri – 2011
…Una pittura tattile la sua, in cui pennellate spesse e corpose, quasi fatte di sabbia e salsedine, scontornano le immagini che affiorano sulla tela come sospese e riverberano una calda luce mediterranea.
Visioni rarefatte e avvolte dal mistero, in cui la presenza umana è estraniata e l’unico conforto è dato dalla materia nuda e solitaria che ci offre la sua struggente poesia. Un anelito di vita anima le pareti assolate delle case di Chianalea, che impavide e fiere fronteggiano il mare tra carezze e tumulti; e le barche arenate sulla spiaggia, che ardenti aspettano di tornare a solcarne flutti e corrente. Tutto è già accaduto e ancora deve accadere: è la storia di una natura arcaica e indomabile, madre e tiranna, cui l’animo dell’artista ha consacrato la sua ispirazione e tributa la sua opera. E poi i cieli infuocati di Roma da cui emergono strade, tetti e chiese che ci raccontano una trama inedita della città eterna che lo ha accolto e nutrito di storie e passioni.
Marta Toma – 2011
….Tutto passa, tutto scorre accanto a noi, in una olimpiade incessante, in un eterno divenire. Grandi pensatori, insigni poeti, hanno focalizzato la loro attenzione sul rapido mutarsi e sul succedersi dell’esistere, del vissuto dei viventi e del fluire delle cose. E pare proprio che le immagini non definite, in movimenti fuggenti, che cesellano le tele del Romanò, sono visioni di un mondo in movimento, in trasformazione, sempre vivo e vitale, ecco perché per la sua ispirazione quella realtà cangiante, non immaginifica, fluente, è visione che travalica il tempo.
Tutta qui l’arte di Pino Romanò, che non è poco, anzi è Arte di elevato sentire e di elevato profilo, Arte cioè allo stato puro.
Walter Bramanti – 2012
… E’ senza dubbio l’armonia tonale il fondo di base delle proposte offerte da Pino Romanò, sempre con garbato e trattenuto impiego di mistioni raggrumate attorno a poche voci e tuttavia tali da concorrere sempre a quelle esplosioni timbriche dense di una loro forza e di una vivace stimolazione effettistica; sono stesure a volte corpose e spesso rivisitate in chiave materica, sono annotazioni allusive dense di una loro grazia costitutiva e per nulla impositiva, sono racimoli cromatici pronti a sottendere ipotesi naturistiche in un seriarsi lieve e delicato di riferimenti in esterno, sono infine richiami della fantasia assiemati a ricordi onirici che si distendono in viva gestualità poetica.
Remo Alessandro Piperno – 2013
… Ci si avvede di una composizione che affonda la sue radici nella tradizione postimpressionista. Si tratta di una composizione raffinata e suggestiva, interamente giocata su una cromia assai ricca di sfumature e di passaggi di luce.
Paolo Levi – 2014
… Poste queste condizioni di lettura critica dell’opera di Romanò, si comprende facilmente che il rilievo che acquista la sua pittura trascende ampiamente il dato meramente figurativo e ciò che si afferma di essa è l’incidenza dell’aspetto propriamente contenutistico.
Rosario Pinto – 2015
… Correva l’estate del ’49 quando una compagine di artisti della scena romana, in fuga dalle contestazioni politiche che infuocavano la capitale, approdava a Scilla in cerca di una parentesi estiva dal sapore esotico ed estetizzante. Una “residenza d’artista” vissuta con grande trasporto umano e fervore poetico, in cui Renato Guttuso, Giovanni Omiccioli, Saro Mirabella e Giuseppe Mazzullo, finirono per immergersi nel teatro della quotidiana lotta per la sopravvivenza di uomini semplici, eroi di tutti giorni, “moderni ulissidi alle prese con il loro pauroso viaggio di conoscenza”.
Questa esperienza verace – più che verista – ebbe seguito per diverse stagioni, attirando l’attenzione della stampa e dell’intera opinione pubblica con una portata tale da segnare il percorso dell’intero panorama artistico italiano, all’epoca avviluppato nella sterile diatriba tra astrattisti e realisti.
La Scuola di Scilla fu in realtà quanto di più lontano da ogni idea di accademia: per interpretare i misteri della natura scendeva in strada con lo sguardo degli “ultimi”, sdoganando l’arte dai suoi canoni elitari e gettando un seme fecondo in quelle talentuose generazioni di artisti scillesi che annoverano in primis Giuseppe Marino, Carmine Pirrotta e lo stesso Pino Romanò. A distanza di 70 anni, Scilla ricorda questa “stagione eroica” offrendo ai visitatori un nuovo emozionante percorso espositivo, che si snoda lungo una “passeggiata d’arte” che unisce terra e mare.
Marta Toma – 2019